Salvo Piparo: "Il Ferragosto è un rito pagano che sacrifica pasta al forno" - la Repubblica

2022-09-17 03:27:22 By : Ms. Janice Zheng

Notte di Ferragosto, la spiaggia è ancora calda, e il mare altrettanto. E poi? "E poi c'è l'arruciata con pompa e secchi d'acqua lanciati dal "finestrone"". Quasi fosse un battesimo per prepararsi all'autunno che verrà, la notte che annuncia il 15 agosto innesca un grande rituale teatrale per l'attore Salvo Piparo. "Una guerriglia fanciullesca, fatta di risate, grida e rincorse", di cui oggi abbiamo tanto bisogno per recuperare i nostri ricordi d'infanzia, ormai sbiaditi. A sette anni Piparo faceva da spettatore al banchetto di famiglia-spettacolo dove papà e zii si sfidavano a colpi di imitazioni e barzellette. C'erano le cene pantagrueliche organizzate dal nonno, Ciccio, nella casetta al mare tra Isola delle Femmine e Sferracavallo, si facevano feste di piazza, in grande. Memorie che riaffiorano adesso, alla vigilia di una festa che fa da spartiacque dell'estate, culmine dell'idea di vacanza e scadenza per riprendere il ritmo di sempre. Piparo, Ferragosto è un rituale che segna il nostro calendario? "Austu e riustu è capu di 'mmernu, dice un antico detto siciliano. Ferragosto segna un passaggio di stagione: è come se cambiassimo pelle. E allora ci vogliamo travestire, magicamente, ballando come nei baccanali dell'antica Grecia. Il Ferragosto è il carnevale dell'estate". E i siciliani lo caricano anche di simboli folkloristici. Uno fra tutti? "La sedia in legno apri e chiudi, portata in macchina. Non c'è una persona che non l'abbia. Sembra che per un giorno diventiamo tutti dei forestieri. È la notte dove tutto può accadere, meglio essere preparati. Anche ad avere un posto in più da aggiungere a tavola. Quelle sedie che sbucano fuori dai portabagagli mi ricordano i tavoli in aggiunta che parenti e amici portavano con sé, quand'ero bambino, perché non c'era più posto per sedersi a mangiare. Sono però, ricordi ormai lontani e malinconici quelli". Perché? "Perché oggi le famiglie sono molto diverse da allora. Cambiano i rituali: io ricordo le giornate trascorse al mare in costume con gli ombrelloni trasformati in piccole cabine portatili. E ancora, il cibo al forno portato in spiaggia per essere quasi "sacrificato" come in un rito pagano". I fuochi d'artificio a Mondello, le luci accese tra le case al mare di Capaci. C'è qualcosa che resiste immutabile nel Ferragosto palermitano? "Sì e sono i luoghi, come sempre. Cambiano le persone, cambiano le abitudini, ma certi luoghi sono parte di un'identità comune. Come la piazza di Sferracavallo, che per Ferragosto si trasforma in una piccola Tunisi dove persino l'abusivismo si integra con la gioia dei festeggiamenti. E i villini tra Cinisi, Capaci e Isola delle Femmine dove nascono per una notte dei piccoli villaggi, dove l'aggregazione passa inevitabilmente per il cibo. E gli schiocchi dei tappi di birra ghiacciata segnano il passaggio tra un'ora e l'altra. Lì, inoltre, in quei villini, che ben ricordo, è come se ci si sedesse a teatro. Tutti diventiamo spettatori, preparandoci alla nuova stagione delle piogge". E poi c'è il cibo. Qual è il must della tavola di Ferragosto? "Senza dubbio l'anguria. La cosiddetta "anguriata" è la condivisione di un frutto di stagione che disseta dolcemente dal gran caldo. E visto che noi palermitani, non ci accontentiamo mai, la trasformiamo anche in dolce: il "gelo di mellone", altro immancabile ingrediente del nostro Ferragosto". Lei che è uno dei volti del "cunto" popolare palermitano, crede che il Ferragosto sia specchio dell'antropologia della città al pari del Festino di Santa Rosalia? "Ogni Ferragosto nel sud d'Italia credo che abbia sempre delle tinte più forti. E questo credo sia legato alla vicinanza del mare, alle temperature e, non ultimo, alla persistenza di credenze e culture popolari. Sì, la notte del 14 agosto è un secondo Festino per Palermo e i palermitani. Con la differenza che la città si svuota anziché riempirsi nei crocevia del centro storico. Ai babbaluci si sostituisce il polpo bollito o "vugghiutu". Rigorosamente coi tentacoli arricciati da purpari e massaie con le tre canoniche immersioni in acqua bollente. Uno, due e tre. E inizia il cunto, ritmato e ripetuto che mi ricorda il volto di mio nonno dietro le persiane della casa al mare. Se ne stava tutto il giorno lì e invitava a cena chiunque gli aggradasse. L'estate e il Ferragosto erano il suo rito della lentezza". In fondo Ferragosto è il culmine del tempo lento delle ferie. "Sì. Ritrovarsi davanti al mare è esso stesso un rito. È come fare pace con tutte le volte che hai perso il bello della vita, perché hai fatto tutto di fretta o senza pensare. Quando ero bambino stavo spesso davanti al mare e cercavo me stesso. Da adulto, cerco invece di essere assolto e trovo la pace. La stessa funzione del mare, ce l'ha per me la risata: è il mio grimaldello per parlare della realtà, anche quella più crudele. Come diceva uno dei miei maestri, Luigi Maria Burruano, "Nel dolore più grande, io babbìo sempre"". Un suo Ferragosto rimasto indelebile? "Quello in cui mi innamorai. Coi capelli bagnati asciugati dal vento, seduto in spiaggia accanto a quella ragazza che oggi è diventata mia moglie. Ma indelebili sono tutti i miei Ferragosto dell'infanzia, quei ricordi talmente incastonati nella memoria da essere diventati ispirazione per alcuni miei testi". Ferragosto sa di tempo mitico? E noi un po' eroi ed eroine davanti al mare o attorno a un fuoco propiziatorio? "Mi piace la metafora. Ci fu un anno in cui mi ritrovai per Ferragosto al teatro antico di Segesta. Portavo in scena lo spettacolo "Ulisse inside". Ecco, un poco come Ulisse credo che i palermitani attraversino la sera di metà agosto, come fosse un'avventura, un lungo racconto a qualcun altro - che sia il mare, un amico o un familiare - dei propri assedi quotidiani, delle guerre, per liberarsi di paure e di inquietudini. Ferragosto è come una tregua". Da cosa? "Dal quotidiano, dalla tecnologia, dalla velocità, dalla solitudine. È il prolungamento estremo della ricerca di lentezza, di collettività e di allegria condivisa". E dopo il Ferragosto? "Siamo tutti più forti perché come dopo un rituale, abbiamo fatto pace con noi stessi. Diventiamo tutti dei condottieri come il furbo Scipione Cicala". Allude al protagonista dello spettacolo che vede lei e Lello Analfino in scena, "Il lupo e la luna" di Pietrangelo Buttafuoco, all'Orto botanico, dal 23 al 25 agosto. Come per Scipione, Ferragosto è la sua tregua di gioia? "Nello spettacolo, nel baluginare della pira, si vedono i fantasmi della gioia della festività, che si consuma a bordo della galea di Scipione, prima di andare alla volta della conquista della città di Messina. Attorniato dai fuochi a mare, le lampare dei musulmani. È questa l'immagine che vorrei rivivere per questo Ferragosto. Mi auguro che oggi tutti noi possiamo ritornare a "sbanniarci", ovvero inaugurare una nuova stagione, fatta di lentezza, di legami familiari e di nuovi innamoramenti. Innanzitutto per la nostra bella terra". La sua nuova stagione teatrale cosa porterà? "Non so ancora che sapore avrà. Il mese di agosto non è un mese per decidere. Diamoci una tregua. E buon Ferragosto".