Bradiaritmie: Come riconoscerle e trattarle in emergenza

2022-08-13 06:13:01 By : Ms. Rudy Zhang

Pubblicato il 06.09.17 di Alessandro Valentino Aggiornato il 10.08.20

Bradiaritmie si definiscono quelle alterazioni dell’attività del cuore che causano una frequenza ventricolare così bassa da condurre da ipoperfusione sistemica fino ad arresto cardiaco. Fondamentale è riconoscere tali alterazioni e le loro cause, per impostare tempestivamente il trattamento terapeutico idoneo, farmacologico e/o elettrico che sia.

L'Ecg fornisce indicazioni preziose, ma il trattamento delle bradiaritmie deve essere rivolto verso il paziente nella sua globalità

La trattazione delle situazioni di periarresto dovute ad un problema in C e, più in particolare, ad una alterazione del ritmo cardiaco, dopo aver preso in esame le diverse tachiaritmie, continua con l’analisi delle bradiaritmie, cioè di quelle alterazioni della attività elettrica cardiaca che provocano una frequenza ventricolare troppo bassa che può condurre ad ipoperfusione sistemica e, in ultima analisi, ad arresto cardiaco (ACR).

L’approccio al paziente potenzialmente critico sarà basata sulla valutazione delle funzioni vitali secondo lo schema ABCD, il che vuol dire che, prima di occuparci dei problemi relativi al circolo - quindi allo stato perfusionale - dovremo prima aver identificato e risolto deficit della pervietà della via aerea e della respirazione.

Individuato un problema di ipoperfusione sarà fondamentale capire come le alterazioni della frequenza cardiaca siano solo l’ultimo aspetto da prendere in considerazione dopo, nell’ordine: i deficit del volume circolante e della pompa cardiaca.

Altro concetto fondamentale da tenere sempre a mente, tanto più vero parlando di bradiaritmie, è che il nostro trattamento dovrà essere rivolto verso il paziente nella sua globalità e non verso ciò che compare al monitor Ecg.

Questo significa che di fronte ad una bradiaritmia il nostro trattamento sarà diversificato in base alle condizioni cliniche del paziente, tenendo presente che esisteranno situazioni dove in urgenza non risulterà indicato alcun trattamento, altre nelle quali sarà invece vitale intervenire immediatamente, altre ancora dove l’aritmia presente potrà rappresentare una situazione fisiologica del paziente.

Le cause di una bradicardia, definita come frequenza cardiaca inferiore a 60 battiti al minuto, possono essere fisiologiche, come negli atleti, legate a problemi primariamente cardiaci (blocchi atrio-ventricolari, ritmo giunzionale o idioventricolare), legate a disionie, a malattie quali l’ipotiroidismo, a ipotermia, a genesi neuro mediata.

Inoltre è necessario ricordare la possibilità, non infrequente, che la bradiaritmia sia di origine iatrogena, causata cioè da sovradosaggio o da reazioni avverse ai farmaci quali, ad esempio, digossina, beta-bloccanti, calcio-antagonisti.

Appurato ciò, le armi che avremo a disposizione per la gestione terapeutica di una bradiaritmia sintomatica saranno, come per le tachiaritmie, la terapia elettrica e quella farmacologica: la scelta cadrà verso l’una o l’altra opzione in base allo stato del paziente.

In presenza di segni avversi, problemi respiratori, dolore toracico, segni di ipoperfusione, sarà necessario intervenire immediatamente tramite terapia elettrica che, nel caso di bradiaritmie, è rappresentata dal pace-maker transcutaneo; viceversa in assenza di tali segni si potrà quanto meno tentare l’opzione farmacologica ricordando che l’efficacia non sarà sicura.

In presenza di aritmia di presunta genesi iatrogena esisteranno terapie farmacologiche specifiche.

La terapia elettrica in emergenza, il pacing transcutaneo, è da considerare un trattamento ponte in attesa del posizionamento di un pacing transvenoso o, in attesa, ad esempio nelle intossicazioni da farmaci, che faccia effetto la terapia specifica.

È una metodica certamente utile, di facile e rapido utilizzo, sicura per il paziente e per il personale sanitario. Bisogna assicurarsi che il defibrillatore abbia la funzione pacing, non presente in tutti i modelli e che le piastre in dotazione siano le multifunzione, cioè non deputate alla sola defibrillazione.

Le piastre vanno posizionate, così come per la cardioversione elettrica sincronizzata della quale ci siamo occupati trattando le tachiaritmie, a livello pettorale destro-apice o, meglio, in sede antero-posteriore, cioè in sede precordiale sinistra adiacente allo sterno (derivazioni V2 e V3 dell’ECG 12 D) e tra la parte inferiore della scapola sinistra ed il rachide dorsale.

La frequenza impostata sarà attorno ai 60-70/m’ mentre il livello di energia efficace solitamente non sarà inferiore ad un mAmpere per chilogrammo di peso corporeo.

La modalità di impostazione del pacing sarà preferibilmente “on demand”, il che provocherà l’inibizione del pacemaker quando venga rilevato un complesso QRS spontaneo.

L’efficacia del pacing sarà determinata dalla presenza della cattura, sia elettrica che meccanica, il che significa che ad ogni spike del PM dovrà seguire al monitor un complesso QRS e che a questo dovrà essere associato un impulso cardiaco avvertito come battito, ricercato a livello di polso centrale o, ancor meglio, ecograficamente; in questo caso ad ogni spike seguito da un QRS corrisponderà una contrazione ventricolare visibile ecograficamente.

In assenza di cattura sarà necessario incrementare l’energia erogata, fino ad ottenere sia la cattura elettrica che meccanica.

Il principale effetto collaterale di tale dispositivo è dato dal dolore avvertito dal paziente a causa ella contrazione muscolare indotta dalla stimolazione elettrica, motivo per il quale nel paziente cosciente si rende sempre necessaria la sedazione, solitamente attuata con farmaci a ripido inizio e breve durata d’azione ed antagonizzabili, quindi particolarmente adatti all’uso in emergenza.

Per quanto riguarda i farmaci, il trattamento di prima linea è rappresentato dall’atropina, somministrata in boli endovenosi di 500 microgrammi da ripetere ogni 3-5’, fino alla dose massima di 3 mg; essa esplica la sua azione antagonizzando l’effetto del nervo vago sul nodo seno-atriale ed atrio-ventricolare, incrementando quindi indirettamente la frequenza cardiaca.

In caso di insuccesso, non raro nelle situazioni di blocco atrio-ventricolare di grado avanzato (BAV II grado tipo 2, BAV III grado) i farmaci di seconda linea a nostra disposizione sono dopamina ed adrenalina in infusione continua, rispettivamente alle dosi di 2.5-10 mcg/Kg/m’ e 2-10 mcg/m’; la soluzione però spesso migliore è data dalla infusione continua di isoprenalina iniziando con 5 mcg/m’; un modo pratico di somministrazione di tale farmaco è diluire 5 fl i isoprenalina, 1 mg totale, in 50 cc in pompa infusionale, iniziando con velocità di infusione pari a 10 cc/ora, da titolare in base alla risposta del paziente.

Nel sovradosaggio di beta-bloccanti o calcio-antagonisti si rivela utile l’uso del glucagone; frammenti anticorpali nella gestione delle bradiaritmie secondarie ad intossicazione da digitale.

Per la diagnosi della bradiartmia al monitor Ecg dobbiamo ricordare l’approccio in 6 step alla analisi del ritmo cardiaco:

Appurato che esista attività elettrica ventricolare (complessi QRS) e che la frequenza cardiaca sia lenta, dovremo fondamentalmente occuparci del rapporto esistente tra attività atriale, se presente, e ventricolare.

In assenza di attività atriale il PM cardiaco potrà avere origine a livello della giunzione atrio-ventricolare (ritmo giunzionale, complessi QRS stretti con frequenza attorno a 50/m’) o ventricolare (ritmo idioventricolare, complessi QRS larghi con frequenza 30-35/m’). Nel ritmo giunzionale si potranno avere onde P negative, poiché retrocondotte.

In presenza di attività atriale, esclusa la bradicardia sinusale, fisiologica o sovente neuromediata, la bradiaritmia presente sarà un blocco atrio-ventricolare; fondamentale, in tal caso, una corretta diagnosi.

BAV I grado: ogni onda P è seguita da un QRS; l’intervallo P-Q o P-R è maggiore di 0.20 secondi, ma costante. Può essere fisiologico, se il paziente sta male non è a causa di tale anomalia della conduzione; andrà quindi ricercata un’altra causa

BAV II grado: la caratteristica di tale blocco è l’assenza di uno o più complessi QRS. Nel BAV II grado tipo I (o Moebitz I o fenomeno di Luciani-Wenckebach) si ha un progressivo allungamento del tratto P-R, fino a quando una onda P non viene seguita da un QRS. Può essere spia di una severa sottostante patologia cardiaca, ma difficilmente se il paziente è ipoperfuso lo sarà per tale anomalia del ritmo. Situazione ben più grave nel BAV II grado tipo 2 (o Moebitz 2); qui una o più onde P non vengono seguite da un complesso QRS, senza alcun preavviso; il tratto PR è normale fino a quando si ha il blocco della conduzione di uno o più impulsi. La gravità di tale BAV, spesso alla base di sincopi cardiogene, è data dalla sua imprevedibilità, che lo rende difficilmente diagnosticabile.

BAV III grado: vi è una completa disconnessione tra atrio e ventricolo; nessuna onda P viene condotta. L’intervallo tra onde P è costante, l’intervallo tra onde R è costante, ma atrio e ventricolo non sono in comunicazione; si ha un ritmo di scappamento ventricolare.

BAV II grado tipo II e BAV III grado sono situazioni a elevato rischio di evoluzione in asistolia e rappresentano indicazione al posizionamento di un pace maker.

Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?

Contenuti in esclusiva, approfondimenti e aggiornamenti sulle principali notizie. La raccolta settimanale delle notizie scelte per te.

Ci prendiamo cura di chi si prende cura. Con la registrazione, gratuita, si ottiene l'accesso a tutti i servizi presenti e futuri.

Pegaso Università Telematica, ti offre la possibilità di ampliare il tuo bagaglio formativo a condizioni vantaggiose, per te e per i tuoi familiari.

Échangez avec nos fff144960 membres

Quotidiano - Registrato al tribunale di Rimini n.4 del 12/09/13

IZEOS SRL | ROC 26157 REA : RN331812